domenica 6 settembre 2009

Giro del Latemar

 000042  Oggi ho affrontato il mio primo giro del Latemar in mountain bike. A dire la verità oggi ho affrontato il mio primo giro "serio" in mountain bike.

Il battesimo è avvenuto col botto: più di 30 Km a quote comprese fra i 1600 ed i 1800 metri e tutti i fondi immaginabili, dall'asfalto alla bicicletta in spalla.

Il resoconto lo pubblico quando sarò meno stanco, per adesso ho pronta solo la cartina: Giro del Latemar

Aggiornamento del 20/09/09
A distanza di un paio di settimane, posso scrivere un breve resoconto della giornata, senza i condizionamenti psicologici della fatica e del compiacimento.

La falsa partenza
A Predazzo (1000m) prendiamo la funivia che ci porta al Gardonè (1680m).
Il gruppo ha deciso ad attaccare la salita da qua, ma lo studio dell'altimetria ha già bollato l'impresa come disperata, dato che il sentiero affianca la pista e mantiene pendenze costanti del 20%.

La seggiovia che dal Gardonè arriva a Passo Feudo (2200m) è un appoggio morale che mi garantisce di arrivare su.
Il freddo è pungente e si fa sentire, ma provo ugualmente la salita. Come previsto, sono subito in difficoltà, faccio al massimo cinquecento metri, poi rinuncio decidendo di salvare le gambe ed il cuore. Fatico anche nella discesa per tornare al Gardonè. Per mia consolazione non sono da solo ad abbandonare, ma in quattro salgono fino a Passo Feudo, anche se più di passo che di pedale.

Intanto che aspetto quelli bravi, ho il tempo di ammirare un panorama mozzafiato, quasi a 360°: la giornata è limpidissima ed è possibile distinguere il ghiacciaio della Val Senales, le dolomiti dell'Adamello e del Brenta, il Lagorai e le Pale di San Martino.

Siamo partiti da un'ora e non ho ancora dato un colpo di pedale degno di questo nome!

Il falso riscaldamento
Da Passo Feudo a Epircher Laner è tutta discesa facile e veloce, la maggior parte su asfalto. Il percorso lo conosco bene, soprattutto con la neve in terra e gli sci ai piedi.
Il freddo infastidisce parecchio, specialmente nei tratti all'ombra.

Siamo partiti da un'ora e mezzo e non ho ancora dato un colpo di pedale degno di questo nome!

La vera fatica
Alla malga Epircher Laner iniziamo a consultare la cartina per assicurarci di imboccare il sentiero 21, ma non c'è unanimità di vedute sulla strada da seguire. Io preferirei quella alta (per scendere c'è sempre tempo!), ma sembra che quella giusta preveda di continuare la discesa in direzione Obereggen, lungo la pista degli slittini.

Quelli bravi vanno veloci ed io fatico a tenere il loro passo.
Quelli bravi vanno molto veloci ed io devo stare molto attento a non investire i pedoni o essere investito dalle macchine che salgono.
Quelli bravi vanno troppo veloci e manchiamo l'imbocco del sentiero 21.

Arriviamo molto in basso e troviamo quella che sembra l'alternativa logica: il sentiero 21A. All'inizio è bello, in mezzo al bosco, in leggera salita con buon fondo. Peccato che finisca presto: la strada termina bruscamente, nei pressi di una panchina con bella vista sulla Val d'Ega. Echissenefrega del panorama: abbiamo sbagliato strada!

Torniamo indietro e vediamo che il 21A (quello giusto) si inerpica nel bosco con un sentiero per me insuperabile: pendenza impegnativa con sassi, radici e sottobosco umido. Io inizio a spingere da subito, gli altri, ad uno ad uno, si rassegnano nel giro di cento metri. Vai di braccia. Per fortuna inizio a scaldarmi e non ho più freddo.

Il sentiero peggiora sempre più ed anche a piedi la salita è faticosissima. Dopo un'ora buona di salita e pedali nei polpacci, finalmente troviamo il sentiero 21. Sono bagnato di sudore, ma non solo: mi si è aperta anche una borraccia di riserva che tenevo nello zaino. Almeno adesso è più leggero!

Siamo partiti da tre ore e non ho ancora dato un colpo di pedale degno di questo nome!

La vera goduria
Finalmente sul sentiero 21, in sella, pedalando.
Finalmente si fa sul serio.

Si fa ancora fatica, ma questa volta è fatica sana.
Quelli bravi si divertono davvero, dato che il percorso è perfetto e non manca nulla: salite, discese, terra, sassi.

I ciclisti professionisti, specialmente i velocisti, nelle tappe di montagna formano il gruppo degli ultimi, la cosiddetta "rete", una strana forma di solidarietà occasionale il cui solo scopo è quello di non arrivare fuori tempo massimo. Anche io nel mio piccolo sperimento la rete, spesso da solo. Gli altri, quelli bravi, però sono anche buoni amici, ogni tanto si fermano e mi aspettano, senza mostrare segni di (giustificata) impazienza.

Dopo una sosta, quelli bravi ripartono in tromba ma, senza accorgersene, sbagliano strada. Noi, quelli della rete (stavolta siamo in tre) ce ne accorgiamo, ma prima che riusciamo ad avvisarli col cellulare (dove l'ho messo..., era qui..., non prende..., non risponde...) riescono a fare un paio di chilometri di discesa, che poi devono lentamente risalire.
Anche quelli della rete sono anche buoni amici e aspettano, senza mostrare segni di (giustificata) impazienza.

Alle due, dopo cinque ore, siamo a Passo Costalunga, stanchi (chi più chi meno), ma contenti (tutti).

La discesa
Da Passo Costalunga (1750m) a Moena (1150m) è tutta discesa, in prevalenza su strada forestale ghiaiata. Quelli bravi direbbero "discesa veloce" e discesa veloce è stata.

In discesa, oltre alle gambe conta anche la stazza e, modestamente, in questo il talento non manca. Presto mi accorgo che sono molto talentuoso, forse troppo, per i V-brake di una bici presa a noleggio. Al terzo tornante vado lungo e abbraccio dolcemente la montagna (no, non la bacio, ma ci manca poco).
Rallento e rifaccio la rete, anche in discesa!

Uno di quelli bravi cade, praticamente senza danni, fatta eccezione per alcuni graffi sulla coscia. Poteva andare peggio.
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst incumbla voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suavis est.
Tito Lucrezio Caro, "De rerum natura", Liber II, 1-4 (I sec. a.C.).
Non sono cinico, ma il paragone con le difficoltà altrui ci fa apprezzare meglio quello che si ha.

Rallento ulteriormente.
Quelli bravi mi danno per disperso.
Sono stanco, ma riesco ancora ad avere i riflessi pronti.

Da Moena (1150m) a Predazzo (1000m) continua la discesa, questa volta sulla pista ciclabile di fondovalle. Col mio talento innato per la discesa riesco a fare gli ultimi sette chilometri senza dare un colpo di pedale degno di questo nome!

Torniamo al punto di partenza tutti e otto, dopo aver sudato sette camicie ed oltre sei ore di bici.
Batti un cinque!

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