martedì 22 settembre 2009

Asocial network

 000043  Andrea è un amico.
Ci siamo conosciuti sul posto di lavoro e siamo stati colleghi per diversi anni, poi le nostre strade si sono divise, ma per lui mantengo quella Stima che si è conquistato sul campo.
Mi ha mandato un invito per diventare suo "amico", ma io non sono parte del "social network" quindi prima dovrei iscrivermi e regalare qualcosa a Facebook, 1601 S. California Ave., Palo Alto, CA 94304.
No grazie, rifiuto.
Andrea è già mio amico.

A me piace pensare che, come nel caso dei compagni del liceo che ho incontrato di recente, i miei amici siano tali non per aver cliccato su un link, ma per aver condiviso compiti, interrogazioni, diari, vestiti, gite, pizze e birre, fogoni, partite a stecca, odori e sudori, sigarette nei cessi, merendine, delusioni, esaltazioni, dischi, cassette, soprannomi, epiteti, incidenti in macchina, sciate, partite a calcio, pallavolo e basket, scioperi per la pace nel mondo e tutte le cazzate che si fanno tra i quattordici ed i venti.
Dopo tanto tempo che non ci si vede anche l'imbarazzo, la ruggine depositata dal tempo, il gioco di "vent'anni in venti secondi", possono assumere un significato positivo.
Per rinsaldare i legami emotivi e ristabilire le intese, non c'è Web 2.0 che tenga: basta una parola o uno sguardo.

Io preferisco preferisco mantenere i rapporti sociali da solo, senza aiutini tecnologici, anche se questo comporta lunghi periodi di silenzio. Il concetto di amicizia proposto dai social network mi ricorda il "Vuoi essere mio amico" o il "Non sei più mio amico" che si dicono i bambini.
Poi bambini crescono.
E smettono.

1 commento:

  1. Marco, alla fine hai ragione.
    Prima o poi scrosto la ruggine e vengo lì con mio figlio a trovarvi.
    Ciao Andrea.

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